Una rigorosa metodologia ideativa ed una sofisticata progettazione caratterizzano il lavoro di Umberto Cavenago e ne sottendono la realizzazione delle opere per un risultato finale di totale essenzialità e di estrema nitidezza compositiva; in più vi si aggiunge una notevole attenzione allo scenario ambientale dell’opera, suo referente armonico, ad essa correlato mediante un sistema di molteplici interazioni e nel segno di sapienti rimandi architettonici, tendenti all’unicità. Tali connotazioni si arricchiscono poi di ulteriori sensi: una dialettica di contraddizioni che si manifesta attraverso una vena d’ironia, quasi tropo privilegiato del pensiero, e l’alternarsi di domande e di ambigue risposte, il tutto pervaso da un filo di sottile comicità. Opere rese dall’artista in lamiera, materiale non nobile, specchio del nostro presente, dalla banale e quotidiana esistenza, trasformato in strutture zincate o dipinte, dai toni del grigio o del bianco, piacevole al tatto e alla vista, senza più funzionalità o memoria di utilizzo, se non unicamente, quello di godimento formale ed estetico. Opere apparentemente impacciate e pesanti, ingombri metallici dotati tutti di ruote, talora dall’aspetto preminente, e, dunque, con la potenzialità al moto: ma inamovibili ed in perfetta quiete; macchine-veicolo, strane fantasie o mimesi del reale come
Equestre (1988) o
Half Ton (1989) o ancora
Enduro (1989) fino a
Voglia di treno (1989), cristallizzanti la loro stasi: metaforicamente veicoli di idee, pretesti allegorici e allusivi circa il gioco, l’arte, il tempo e lo spazio.
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