Alla fine degli anni '80, Umberto Cavenago realizza una serie di pattini a rotelle in lamiera zincata, caratterizzati da un design industriale e apparentemente funzionale. Ogni paio, contrassegnato da un numero specifico, presenta dimensioni personalizzate che si adattano alla morfologia del piede umano. Tuttavia, nonostante la loro estetica innovativa, i pattini in sottile lamiera d'acciaio zincata sono impraticabili per la loro fragilità, quindi non utilizzabili. La lamiera sagomata riflette comunque un'attenzione particolare alla proporzione e alla simmetria, creando un equilibrio visivo unico. Quest'opera incarna l'intersezione tra arte e il dinamismo dello sport o del tempo libero, trasformando un oggetto associato alla libertà e all'avventura in un'opera d'arte dalle linee essenziali e dalla raffinata semplicità.
[...] Pattini a rotelle è la ricostruzione in lamiera metallica dell’oggetto menzionato nel titolo. Realizzata in più esemplari di varie misure (dal 35 al 45), non era però progettata e ‘prodotta’ per sopportare il peso corporeo, dovendo rappresentare soltanto il simbolo concettuale di un veicolo minimo, un “amplificatore antropomorfo di velocità”. Tale però fu il potere di coinvolgimento e di destabilizzazione che l’opera fu in grado di innescare nel pubblico alla sua prima esposizione, che alcuni esemplari furono distrutti dai tentativi di utilizzazione attuati spontaneamente da alcuni visitatori.
Luigi Di Corato, 2003
Umberto Cavenago comincia ad attraversare la storia dell'arte con veicoli (camion, pattini, motociclette...) dotati di ruote; queste ruote garantiscono movimento ma anche una conseguente instabilità, quella stessa che, ironicamente, nella seconda fase del suo lavoro, darà origine idealmente a quel "sostegno dell'arte" delle grandi cornici, colonne e travi telescopiche.
L'indagine si sviluppa prevalentemente su due binari: quello della forma e quello della funzione. La forma è lineare, essenziale, sintetica, ammorbidita infine dalle ruote chele donano una straordinaria vitalità. La funzione è quella di ribaltare ironicamente i valori e le priorità cosiddetti "generi", per esempio, che, specialmente in passato, possono aver costituito un vincolo per una più libera interpretazione di un mondo ancora così misterioso come è quello dell'arte. La lamiera zincata è la veste di tutto questo, apparentemente fredda. Eppure questi "veicoli" sono avvolti da un'energia accattivante, da una sorta di antropomorfismo sottilmente funzionale al discorso dell'artista. La serie dei pattini a rotelle viene costruita rispettando le proporzioni reali: il numero trentasette è veramente il numero trentasette. Ogni rapporto è sempre pensato e niente viene lasciato alla casualità.
Vittoria Coen
Pattini a rotelle nº38 (Collezione privata, Roma)
Photo © Alessandro ZanbianchiAlla fine degli anni '80, Umberto Cavenago realizza una serie di pattini a rotelle in lamiera zincata, caratterizzati da un design industriale e apparentemente funzionale. Ogni paio, contrassegnato da un numero specifico, presenta dimensioni personalizzate che si adattano alla morfologia del piede umano. Tuttavia, nonostante la loro estetica innovativa, i pattini in sottile lamiera d'acciaio zincata sono impraticabili per la loro fragilità, quindi non utilizzabili. La lamiera sagomata riflette comunque un'attenzione particolare alla proporzione e alla simmetria, creando un equilibrio visivo unico. Quest'opera incarna l'intersezione tra arte e il dinamismo dello sport o del tempo libero, trasformando un oggetto associato alla libertà e all'avventura in un'opera d'arte dalle linee essenziali e dalla raffinata semplicità.
[...] Pattini a rotelle è la ricostruzione in lamiera metallica dell’oggetto menzionato nel titolo. Realizzata in più esemplari di varie misure (dal 35 al 45), non era però progettata e ‘prodotta’ per sopportare il peso corporeo, dovendo rappresentare soltanto il simbolo concettuale di un veicolo minimo, un “amplificatore antropomorfo di velocità”. Tale però fu il potere di coinvolgimento e di destabilizzazione che l’opera fu in grado di innescare nel pubblico alla sua prima esposizione, che alcuni esemplari furono distrutti dai tentativi di utilizzazione attuati spontaneamente da alcuni visitatori.
Luigi Di Corato, 2003
Umberto Cavenago comincia ad attraversare la storia dell'arte con veicoli (camion, pattini, motociclette...) dotati di ruote; queste ruote garantiscono movimento ma anche una conseguente instabilità, quella stessa che, ironicamente, nella seconda fase del suo lavoro, darà origine idealmente a quel "sostegno dell'arte" delle grandi cornici, colonne e travi telescopiche.
L'indagine si sviluppa prevalentemente su due binari: quello della forma e quello della funzione. La forma è lineare, essenziale, sintetica, ammorbidita infine dalle ruote chele donano una straordinaria vitalità. La funzione è quella di ribaltare ironicamente i valori e le priorità cosiddetti "generi", per esempio, che, specialmente in passato, possono aver costituito un vincolo per una più libera interpretazione di un mondo ancora così misterioso come è quello dell'arte. La lamiera zincata è la veste di tutto questo, apparentemente fredda. Eppure questi "veicoli" sono avvolti da un'energia accattivante, da una sorta di antropomorfismo sottilmente funzionale al discorso dell'artista. La serie dei pattini a rotelle viene costruita rispettando le proporzioni reali: il numero trentasette è veramente il numero trentasette. Ogni rapporto è sempre pensato e niente viene lasciato alla casualità.
Vittoria Coen
Pattini a rotelle nº45 (Collezione privata, Torino)
L'origine dei pattini a rotelle è sconosciuta.
La prima data legata ai pattini a rotelle che si possa ricordare è il 1743, anno in cui fecero la primissima apparizione nel corso di un esibizione su di un palcoscenico di Londra.
Pattini a rotelle nº45 (Collezione privata, Torino)
Photo © Studio BluStudio di Umberto Cavenago al Castello di Rivara nel 1989
Photo © Nadia PonciPattini a rotelle nº45 (Collezione privata, Torino)
Photo © Studio BluPattini a rotelle nº37 (Collezione privata)
Nadia Ponci nello studio di Umberto Cavenago al Castello di Rivara nel 1989
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