Motocicletta, 1988

Lamiera zincata, alluminio e acciaio
110 × 210 × 30 cm
Artefatti motociclistici
Tra la fine degli anni 80’ e i primi anni 90’, ho iniziato a costruire artefatti dall’aspetto motociclistico. Non oggetti da ammirare, ma forme da interrogare. Apparentemente veicoli, ma privi di funzione. Solo un’idea di partenza, un’energia compressa, come una tensione non ancora espressa. Entità sospese, in attesa di una rivelazione che non arriverà mai. Le proporzioni erano quelle di vere motociclette, ma senza motore né movimento. Alcune appoggiate a parete, altre su cavalletto, come modelli tecnici o reperti. Tutte con la stessa ipotesi progettuale: evocare un mezzo pronto a partire, ma fermo. In sospensione. Un moto che non si compie mai, un viaggio mai iniziato. Le realizzavo con lamiera metallica, tagliata, piegata e assemblata in modo essenziale. Un gesto diretto, senza tecnicismi, come un ritorno all’essenza. Come se il mio lavoro volesse dire: non cercare risposte facili, non esistono soluzioni definitive. La scultura non è una risposta, ma una domanda. Quelle opere, munite di ruote e defunzionalizzate, alludevano a un movimento mancato. Mezzi senza scopo. E in quello scarto, tra l’apparenza del veicolo e l’impossibilità del viaggio, si apriva uno spazio: uno spazio per la scultura, per il pensiero, un luogo dove fermarsi e riflettere sull’immobilità dell’esistenza. Non le ho mai considerate finite. Ogni esposizione è stata una tappa temporanea, mai un arrivo. Cambiando luogo, cambiava luce, cambiava lettura. Non sono immobili, ma nemmeno mobili. Sono in un’attesa piena di possibilità, senza risposte definitive. Ed è lì che voglio stare. Non progetto oggetti da guardare, ma interrogativi che trasformano l’immobilità in attesa. In quella sospensione risiede il loro essere senza essere, diventare senza arrivare mai a compiersi del tutto, dove non esiste mai una “fine” definitiva, ma un processo in continua attesa, un viaggio che non inizia mai veramente. Una tensione che risiede nella loro immobilità, che non è mai statica, ma sempre in attesa di un movimento che non si compie mai completamente.
U.C.

Photo © Giorgio Mussa

Motocicletta, 1988

Lamiera zincata, alluminio e acciaio
110 × 210 × 30 cm
Artefatti motociclistici
Tra la fine degli anni 80’ e i primi anni 90’, ho iniziato a costruire artefatti dall’aspetto motociclistico. Non oggetti da ammirare, ma forme da interrogare. Apparentemente veicoli, ma privi di funzione. Solo un’idea di partenza, un’energia compressa, come una tensione non ancora espressa. Entità sospese, in attesa di una rivelazione che non arriverà mai. Le proporzioni erano quelle di vere motociclette, ma senza motore né movimento. Alcune appoggiate a parete, altre su cavalletto, come modelli tecnici o reperti. Tutte con la stessa ipotesi progettuale: evocare un mezzo pronto a partire, ma fermo. In sospensione. Un moto che non si compie mai, un viaggio mai iniziato. Le realizzavo con lamiera metallica, tagliata, piegata e assemblata in modo essenziale. Un gesto diretto, senza tecnicismi, come un ritorno all’essenza. Come se il mio lavoro volesse dire: non cercare risposte facili, non esistono soluzioni definitive. La scultura non è una risposta, ma una domanda. Quelle opere, munite di ruote e defunzionalizzate, alludevano a un movimento mancato. Mezzi senza scopo. E in quello scarto, tra l’apparenza del veicolo e l’impossibilità del viaggio, si apriva uno spazio: uno spazio per la scultura, per il pensiero, un luogo dove fermarsi e riflettere sull’immobilità dell’esistenza. Non le ho mai considerate finite. Ogni esposizione è stata una tappa temporanea, mai un arrivo. Cambiando luogo, cambiava luce, cambiava lettura. Non sono immobili, ma nemmeno mobili. Sono in un’attesa piena di possibilità, senza risposte definitive. Ed è lì che voglio stare. Non progetto oggetti da guardare, ma interrogativi che trasformano l’immobilità in attesa. In quella sospensione risiede il loro essere senza essere, diventare senza arrivare mai a compiersi del tutto, dove non esiste mai una “fine” definitiva, ma un processo in continua attesa, un viaggio che non inizia mai veramente. Una tensione che risiede nella loro immobilità, che non è mai statica, ma sempre in attesa di un movimento che non si compie mai completamente.
U.C.

Photo © Giorgio Mussa